Vita di mare

Pubblicato il12 Nov 2009 da admin

 

Fine Novembre 2021
Giornata fredda e con sporadici piovaschi, temperatura poco sopra i cinque gradi, tappati in casa, la mente ci riporta indietro nel tempo, tanti ricordi, tante belle veleggiate, tra le tante, vedendo le immagini pubblicitarie del nostro amico Marcello, grande comandante di Idra II, alla sua prima Barcolana di Trieste, io alla quarta. Partenza dal nostro porto rotta 360° diritti fino a Capo d’Istria, randa, genoa e ausilio del motore per gran parte del viaggio, le miglia si susseguono con tranquillità, piccola deviazione al traverso di Pesaro per le innumerevoli piattaforme disseminate in quella zona, dopo circa ventinove ore di navigazione giungemmo al famoso faro di Punta Salvore, cambiando rotta ci si avvicina a Trieste, ma inizia una leggera pioggia che si fa sempre più fitta ed anche il mare con la forza del vento aumenta e s’ingrossa con onde sempre più frangenti sulla piccola barca, visibilità quasi pari a zero, si proseguiva con il solo motore, genoa e randa ammainati, non dimenticherò mai le parole di Marcello, naturalmente un poco preoccupato, mi chiese per un paio di volte: ma tu che ci sei stato quando si arriva? Risposi: appena riusciamo a vedere il faro di Trieste, possiamo seguirlo ci porterà dritti al porto, dopo ci sono le luci per andare all’ormeggio. Naturalmente in questi casi il tempo tiranno non passa mai, infatti, dopo più di un’ora interminabile ed anche la mia preoccupazione, i pensieri che si affollano nella mente di non essere nel giusto, ma ecco un bagliore appena percepibile poi un altro, eccolo è lui! Basta seguirlo, siamo abbastanza lontani dalla costa quindi non ci sono problemi fino a Trieste. Verso le undici e trenta eravamo oltre le dighe al centro della bellissima e sempre spettacolare Piazza Unità D’Italia, naturalmente già gremita di barche, ormeggiammo all’inglese con l’aiuto dei vicini, non ricordo se in seconda o terza fila e poco dopo si affiancarono altre due o tre barche, che con la leggera risacca non era per niente facile e piacevole, in particolare tutta la notte, con anche l’andirivieni degli equipaggi che passavano da una barca all’altra. Festa grande con concerto e fuochi d’artificio interminabili ma bellissimi, fino a tarda notte. Spettacolare anche la gara delle barche, se non ricordo male, erano gli Ufo, vicinissime ai moli con issate e ammainate dei gennaker in spazi ridottissimi. Per la regata era prevista bora scura (i Triestini la chiamano così quando oltre al forte vento arriva anche la pioggia), indecisione dei giudici di regata se annullarla o no, naturalmente non mancarono i critici: noi siamo marinai non temiamo la Bora, non potete annullarla! Abbiamo fatto centinaia di miglia per venire a Trieste, sia via radio sia dalle loro barche, tanto che il comitato diede l’approvazione alla partenza. La bora anche se fortissima, non crea grandi onde, solo pulviscolo, noi naturalmente non essendo come loro veri marinai, rimanemmo fino a pochi minuti dalla partenza con motore acceso e a secco totale di vele, sia randa sia genoa, la piccola barca si piegava fino alla falchetta sotto le violente raffiche di vento e abbiamo anche corso un paio di rischi, una barca di circa dodici metri tutta invelata si dirigeva verso di noi a tutta velocità con la prua sott’acqua e la pala del timone fuori, urliamo tutti scanziamoci ! scanziamoci! Marcello al timone: fatelo voi! Non risponde! Eravamo anche noi privi di governo proprio in quel momento, fortunatamente a pochi metri da noi si è raddrizzata evitandoci, grande spavento, poco dopo altra barca di quelle d’epoca, anch’essa tutta invelata va in straorza e ci passa a pochi metri dalla nostra poppa. Disse Marcello: per oggi basta non si parte, il via era stato dato, dissi va Be! Mettiamo un poco di genoa e andiamo anche noi, acconsentì ma appena tirato fuori solo un pezzettino, un CRAC e la vela si era strappata, chiudi! Chiudi! La regata per noi era finita. Seguimmo la regata per un poco a motore, era una carneficina, un paio di alberi completamente spezzati e non so quante vele strappate. Ripartimmo quasi subito per il nostro porto dopo aver rimesso del carburante e fatto cambusa di quello che mancava. Anche il ritorno con bel tempo, la Bora finita e una leggera brezza ci accompagnava. Un piccolo particolare che vale la pena di ricordare, durante la notte verso le due, dico a Raffa che era di turno, chiudo due minuti gli occhi, ma il sonno e la stanchezza erano troppo forti e li ho riaperti forse dopo più di un’ora e a svegliarmi uno strano rumore di motore sotto sforzo che si avvicinava, guardo e proprio davanti alla nostra prua un peschereccio, dissi: Raffa ma non la vedi la barca che è davanti e sta pescando? Lei tranquilla: sì ma è di poppa! Figliola mia benedetta, siamo sopra i suoi cavi d’acciaio e la sua rete è lunghissima, quindi meglio spostarsi, basta una decina di gradi e poi riprendiamo la nostra rotta, acconsentì ma non so se ne era convinta. Sono tornato ancora una volta con Marcello a Trieste, ma con una barca nuova molto più grande e tranquilla. Idra II. Tutto un altro andare, da meno di cinque nodi a più di sette, ricordo che Marcello mi chiamò per dargli una mano, perché lui doveva andare a Rimini e ci saremo trovati in quel porto il giorno seguente. La mattina il socio Carlo con la sua signora e il figlio e la moglie di Marcello pronte per l’imbarco, ma non tanto convinti a partire, fuori c’era un bel mare formato forse forza quattro, non fu facile rassicurarli, ma poiché Marcello ci aspettava a Rimini, si convinsero. Alle quattro e venti circa eravamo fuori dal porto. Una delle signore poco dopo si sentì male, ma si ritirò in cuccetta e lì rimase fino a Rimini che raggiungemmo precisi dopo circa tredici ore di navigazione, Marcello era ad attenderci, riprese il comando facendo rotta per Trieste. Questa volta una bellissima Brcolana. Buon vento. ziopaolo

Qualche tempo fa mi misi alla ricerca della mia barca, mia per modo di dire, dato che era di mio fratello Orazio, riuscii a ritrovarla e il proprietario attuale mi ha inviato le foto, tenuta veramente bene. E’ la barca con cui ho iniziato i miei trasferimenti in Grecia e Croazia. Ne curavo la manutenzione compreso la carena, a quei tempi si poteva fare, i cantieri lasciavano lavorare sulle proprie barche. Mio fratello impegnato con il suo lavoro veniva, mi dava una mano a disormeggiare poi prendeva un materassino e si addormentava sulla tuga, si sentiva stanco e in barca cullato dal leggero rollio per un paio d’ore riposava, pronto per tornare al suo lavoro, mentre issate le vele, no issate ma aperte, dato che l’aveva dotata di avvolgi fiocco e avvolgi randa, comprati dalla Bamar all’inizio della loro attività e una novità per Giulianova e San Benedetto, lo scarrozzavo facendo sempre attenzione a non fare manovre brusche per non svegliarlo. Quella stanchezza si rivelò purtroppo dipendere da una brutta malattia che se lo prese in pochissimo tempo. La barca rimase ferma per n bel periodo nel porto di San Benedetto, non avevo il coraggio di risalirci, ma bisognava aprirla asciugarla metterla in moto, ai miei nipoti quella barca non piaceva molto, erano giovanissimi e avrebbero preferito una barca più piccola e più veloce, tanto che decisero di venderla. Mi piangeva il cuore ma non c’era altra soluzione. Capitò un Signore che la voleva, ma a una sola condizione, che ziopaolo rimanesse a bordo, perché, lui non esperto di vela, andato sempre con barche a motore e i due figli giovanissimi. Potevo dire di no? Così per più di due anni sono stato imbarcato con loro, si andava in Croazia e si usciva quasi tutte le settimane, poi anche loro decisero di venderla e VIEUX MALIN, si trasferì nel Tirreno, passarono a Giulianova a salutarmi. A San Benedetto mi sono trovato veramente bene. Dopo tanti anni uno dei due figli, quel ragazzino sveglio e volenteroso di apprendere, oggi è il Presidente del Circolo Velico Sambenedettese. Che nostalgia rivedere quella barca, le prime traversate dell’Adriatico le notti stellate da poterle toccare con la mano e il mattino il luccichio del mare che ti accecava per poter scorgere le prime isole, se la rotta era stata giusta, non c’erano GPS o satellitari. Non molto veloce in apparenza, ma con un passo sull’onda che le barche di oggi se lo sognano. Dai ricordi di ziopaolo. Gennaio2022 Non sono riuscito a contare in quante barche sono salito, facendo scuola ed esperienze, da Vieux Malin di mio fratello Orazio al Mousse 99 Valentina IV e Nadema, Nova 42 di mio nipote Piero, acquistata e fatta costruire dal cantiere Novelli di Pesaro; da Gitana Comet 850 prima Barcolana, al 33 piedi di Nino Trivelli, dal Pierrot 9,25 a Festante, il Nova 37 di Marcello Maggitti, dall’Alpa 11,50 al Kriss di Gianfranco Bacchetta al grande Gioir di Alfonso Capanna rigorosamente in legno due ketc, l’Arpege 925 del Dottor Galli che si lasciava scarrozzare per ore e giorni, Garum di Piero e D’Ecclesia al Nova 30 Grrinta di Massimo Sisino, al Nova 33 di Stefano Fossemò a Idra I e Idra II di Marcello Del Toro, Gaia Comet 950 di Decclesia, storia non troppo bella da rivivere, ma condotta fino a kvar con marito e moglie giovanissimi con pochissima esperienza di vela e mare, anzi nulla e il loro figlioletto di appena un anno e mezzo. Poi le tre o quattro barche di Paolo Lazzari con cui ho navigato fino a poco tempo, facendo trasferimenti anche di novecento miglia, le barche di Armando Nunziante, le ho collaudate tutte, il Vagabond del Dott. Antonio Di Marco. Il Clipper 42, Buio Pesto di Belgiglio, trasferimento appena comprata da Nettuno a Giulianova, con Salvatore Costanzo e due volte in Grecia. Il Benetton 42 di Alfonzo Piccioni e Marco Ghietti, il Benetton 40 SEI+ UNO di Salvatore Costanzo, il Comet 850 di Saba, la prima barca un Elan di Paolo Cegna. La prima barca il Deler 34 di Mimmo Zippilli con fiocco auto virante. Altro trasferimento, di Vola Vola del compianto Sergio Quirino Valente, all’acquisto aveva un altro nome di uccello famoso, bellissima barca, trasferimento con Salvatore Violini da Punta Ala a Pescara Il sette metri Veleno II, con motore fuoribordo, dei Compianti Gilberto e il figlio Andrea Patacca, mio Faro. Il Gran Soleil 43 VelaVictory di Pino. uscite giornaliere con aperitivo ,pranzo o cena a bordo. Imbarcato perfino con il grande Capitano Maurizio Trifiletti con il prestigioso Caicco. Per non parlare poi del Soling di Don Berardo Cerulli, SAIP acquistato da noi e Giorgio Mosca, il grande marinaio, che non riusciva mai a tirare fuori la randa avvolgibile, imprecando mi chiamava per poter uscire. Poi il Soling acquistato dal compianto Antonio Forcellese, venduto poi al Dott. Mimmo Di Filippo, per anni sono uscito con questa stupenda barca, molto più marina e maneggevole della nostra Star, Ella. Uno dei primi trasferimenti è stato con CCYD un ventidue metri, super lusso con quadri e oggetti preziosissimi, accessoriata di tutto e di più, mai vista una barca del genere, lo Skipper era Mario Lallone e si trovava a Montecarlo, quattro giorni a visitare la bellissima città, facendo anche il percorso della formula uno, in attesa del miglioramento del tempo, facendo conoscenza anche con una bellissima balena, riconosciuta prima per il (profumo) che emanava, ci accompagnò per quasi mezzo miglio. Dovetti per impegni di famiglia lasciare a malincuore a Formia, dove mi sostituirono altri amici come Giuseppe Tribuiani, proseguirono fino a Venezia. Mi regalò una bellissima cerata Merit che mi ha accompagnato per tantissimo tempo, finita in fondo al mare quando con il naufragio di Juno, mio Nipote Giovanni la lasciò a bordo. Unico trasferimento da Livorno a San Benedetto con una barca a motore che mi costò un’intossicazione per il gran fumo dei due motori . Non ricordo il nome della barca e del proprietario che siamo andati a prendere a Brindisi e portata a Giulianova, era un Gran Soleil, ma niente, non riesco. Sarà l’età!!! Ne mancheranno certamente altre come l’850 dell’(amico Pietro Carusi) solo una regata. Tre Benetton 42, nuove, noleggiate in Croazia a scorrazzare per le Isole Croate, come Skipper, la prima con una famiglia Messicana, la seconda con sette amici Emiliani che salirono a bordo con valigioni rigidi, stavo per fare obbiezione, quando ho visto che erano piene di grana padano e salumi di tutti i generi, dissi solo: non sarebbero molto adatte per la barca!!!! La terza la più bella, ci sono ancora i filmati “velisti per caso” composto da due fidanzati Pugliesi, Marito e moglie Veneti, una Milanese e un giovane avvocato di Pescara, amico di Paolo Lazzari. che bei ricordi!!! Non sono in ordine di tempo ma mano a mano che la mente li ricorda. Infatti manca la barca dei fratelli Di Giannatale un’Alpa 850 e una traversata con un motoscafo veloce 35 nodi, ricordo che fui chiamato per condurre una barca a Vis in Croazia e non trovando nessuno mi capitò il Dot Ugo Fano, chiesi se avesse qualche giorno per venire con me, accettò ma a condizione di poter portare le sue due figliole, non cerano problemi, si doveva tornare andando a Spalato con il Traghetto, ma un amico ci avvertì che dall’altra parte dell’Isola c’era il Dottor Arnaldo Parere che sarebbe ripartito il giorno seguente, riuscimmo a metterci in contatto e con l’autobus ci recammo a Comisa. Arrivare a Sant’Andrea un baleno, non me ne accorsi nemmeno, ma passato l’isolotto, un mare incrociato con onde molto alte e ripide, la barca iniziò a sbattere violentemente, consigliai di ridurre la velocità da quasi trenta nodi a dodici quindici massimo, dissi ad Arnaldo sono abituato a impiegare venti anche ventiquattro ore per la traversata quindi può anche andare un poco più piano. Avevo anche notato che le due bimbe avevano cambiato colorito, Il papà non se ne era accorto, ho iniziato a farle giocare con le onde che arrivavano e avendo a disposizione delle buonissime ciliegie, una tira l’altra e in meno di sei ore eravamo in porto a Giulianova L’ho scritto e lo ripeto, non finirò mai di ringraziare abbastanza tutti, che mi hanno dato fiducia e ospitato nelle loro barche, anche non avendo molta disponibilità economica. Volevo aggiungere una cosa molto importante, ho curato decine e decine di neofiti a superare il mal di mare, dicendo solo: ai primi sintomi, sbadigli o sonnolenza iniziare con naso al vento a respirare profondamente alcune volte e mettersi subito a fare qualsiasi cosa, al timone ai winch, alle scotte, il mal di mare dipende dai timpani e respirando e distraendosi il mal di mare passa, provare per credere. Buon vento o vento largo. Ziopaolo.

FINE 2021

Due belle esperienze di navigazione quasi costiere in meno di un mese, le più corte di questi ultimi anni, la prima da Brindisi a Pescara, con un Gran Soleil 42 e la seconda, da Grado a Giulianova, con un Bavaria 34. Arrivo a Brindisi con la freccia bianca un treno comodo, veloce e confortevole in poco più di quattro ore, eravamo a destinazione, in taxi per raggiungere il marina, espletate le formalità, saliti a bordo, una bellissima barca con interni spaziosi luminosi e veramente ben costruita, con rifiniture di pregio, anche l’attrezzatura per la navigazione a vela ben tenuta, con randa e genoa in ottimo stato. Il mattino, di buon’ora, sveglia e trasferimento al centro della città, foto di gruppo, tre persone di equipaggio, ricca colazione al bar centrale, rifornimento di carburante ed acqua, controllo olio motore e via, lungo l’interminabile porto; fuori ci attendeva un mare incrociato abbastanza formato da farci  notare che la barca teneva fronte ai marosi egregiamente. Quella zona è veramente particolare, per una decina di miglia, e mi è successo altre volte, passando da quelle parti, trovare sempre mare  grosso incrociato ed anche molto vento, fatto quel tratto il mare bonaccia quasi di colpo ed anche il vento sembra scemare, navigazione tranquilla, abbastanza noiosa con il motore che non concede un attimo di riposo alle povere orecchie, poco traffico, data la bassa stagione, sia di giorno che di notte, solo all’avvicinarsi al promontorio del Gargano, giunti  il mattino seguente, un po’ di movimento, indecisione se, fare tappa a Vieste o proseguire, ha vinto la seconda, sfiorate le isole Tremiti con mare veramente calmo ed assenza totale di vento, dopo aver costeggiato Ortona irriconoscibile da principio per il faro non funzionante, in serata eravamo ormeggiati nel marina di Pescara.
Il secondo trasferimento. Da Giulianova a Grado in macchina stracolma di attrezzature, tanto da non avere più posto per noi ed i nostri bagagli, giunti a destinazione, dopo sei ore, giusto per l’ora di pranzo, il tempo per portare tutto in barca e fare i complimenti al nuovo proprietario, barca nuovissima e perfetta, due anni di vita e non sfruttata affatto, tutto nuovo, dal motore agli interni, alle vele, perfetta e soprattutto pronta per navigare. Pranzo di inaugurazione in un ristorante al centro della sempre accogliente e pulita cittadina, non tornavo da quelle  parti da circa venti anni, sempre per un altro trasferimento, Valentina IV un Mousse 99, con esperienze già descritte. Per le quindici e trenta la partenza, si attraversa il lungo percorso tra due file di briccole, che delimitano i tanti bassi fondali, la navigazione sembra tranquilla ci doveva essere una finestra di tempo buono tra una perturbazione e l’altra in arrivo, unico problema i rami ed i tronchi trasportati dai fiumi in questi ultimi periodi di grandi piogge, un paio sbattono sotto la barca, altri riusciamo a schivarli, il problema sarebbe stato per la notte con l’oscurità sarebbe stato molto difficile vederli e poterli evitare. La barca naviga con una buona media.  Sul tardi, il vento inizia a rinforzare e dei lampi a sud illuminano a giorno, seguiti dal fragore dei tuoni sempre più vicini, il ricordo della burrasca vissuta nella stesa zona, costa Istriana, mi fanno rabbrividire un po’, ma questa volta siamo attrezzati, pilota automatico ottimo, tre GPS di cui due cartografici e sopratutto una cappottina para spruzzi e freddo da non prendere una sola goccia d’acqua con la pioggia arrivata.

Riduciamo la randa avvolgibile all’albero e non sul boma, quindi niente terzaroli ma dal pozzetto con semplice cimetta, riavvolgiamo il genoa, la barca si stabilizza e il pilota automatico rallenta le correzioni, poggiamo di una quindicina di gradi per non prendere le onde, diventate enormi, di traverso ma di giardinetto e la navigazione procede sempre con ottima media, tutta la notte vento e pioggia non cessano, la traversata è ormai alle porte, si intravede il monte Conero avvolto da una folta foschia, il mare ed il vento si placano e un pallido sole tende a riscaldarci, mentre un venticello da nord ovest, ci permette di riaprire tutte le vele e ci accompagna fino al porto di arrivo per fare carburante dopo venticinque ore di navigazione, cena e pernottamento a bordo ed il mattino seguente dal porto di Civitanova Marche, dopo sei ore e mezza circa, evitando le innumerevoli bandierine dei pescatori, si ormeggia al nostro porto, Giulianova, con grande soddisfazione del nuovo armatore , sia per la scelta giusta della barca che per la veloce e tranquilla navigazione effettuata.
Leggevo su un nostro giornalino le avventure che si affrontavano qualche anno fa, senza pilota automatico, timone a barra con minuscola bussola, senza GPS o Radar navigazione stimata, ma che ti volevi stimare? cambio delle vele di prua, da effettuare in navigazione, per mettere una o due mani di terzaroli ci si avventurava sotto l’albero, con il boma che minacciava di colpirti e scaraventarti in mare, freddo, bagnati, non c’erano cerate idrorepellenti non c’erano pile-che ti tenessero caldo e nemmeno cappottine che ti riparassero dalla pioggia dagli spruzzi e dal freddo, eppure si navigava, si andava in Croazia ex Yugoslavia e perfino in Grecia, le barche non superavano i nove metri e alla velocità di quattro massimo cinque nodi ora, venti venticinque ore per raggiungere la costa opposta, ed allo scoprire le prime montagne all’orizzonte la domanda era sempre la stessa: siamo in rotta? Il progresso ci concede tante agevolazioni e comodità, ma lo spirito dell’avventura si è ridotto, tanto da rendere le navigazioni attuali, per me, un po’ noiose.

BUON VENTO
zio paolo

FINE LUGLIO 2010

Continuano con risultati molto soddisfacenti le lezioni di scuola vela.

Oltre venti gli allievi che hanno ottenuto il brevetto della Federazione Italiana Vela.

Tutti in grado di armare diversi tipi di derive compreso l’Optmist e condurle in tutte le andature

Imparato diversi tipi di nodi, un po’ di meteorologia e soprattutto rispetto sia per gli elementi naturali, come il mare, che lo spirito di collaborazione tra compagni. Sono arrivate anche le prime medaglie e coppe dei ragazzi del 42° Nord con ottimi risultati.

Un fine Luglio accompagnato da tempo instabile e perturbato non ha impedito ai ragazzi di esercitarsi ed apprendere i limiti della navigazione.

La stagione possiamo dire che è appena iniziata ed i corsi continueranno, se il Signore vorrà, a ritmo abbastanza sostenuto avendo diverse prenotazioni.

Per non rimanere a terra, venite a trovarci, faremo in modo di accontentarvi.

DOMANDA

Domanda? Gli oltre sessanta allievi che hanno frequentato il corso di vela in questi ultimi anni che fine hanno fatto?

Tanto desiderosi di voler andare per mare, all’inizio?

Eccetto qualcuno, il resto sparito. Tanto che, anche nella regata organizzata dal circolo di San Benedetto e Circolo Migliori di Giulianova, tre o quattro armatori, o meglio proprietari di barche a vela, hanno dovuto lasciare le loro barche per mancanza di equipaggio e questa è una storia che si ripete da sempre, barche ferme ed armatori imbarcati per formare un equipaggio. Lo dissi, lo dico e lo ripeto, per andare per mare non occorre ricchezza e nemmeno possedere una barca, un po’ di buona volontà e aggregarsi; mollare gli ormeggi, issare una vela, cazzarla e mollarla nelle varie andature ed al rientro ormeggiare portando le trappe a prua e fare il nodo di bitta. Ringraziare e salutare. Non mancheranno, sfottò e cene. Però devo dire che, una cosa l’ho insegnata bene essere veri marinai solo con le promesse!!!!

40 ANNI DI STAR

Proprio a Giugno di quest’anno festeggeremo se il Signore vorrà, il quarantennale. Esattamente i primi di Giugno del 1968 fui invitato dal mio amico, nonché direttore di una delle ditte da me rappresentate, Ennio Pomponio, proprietario di una magnifica Star ELLA, a fare un giretto. La giornata, ricordo perfettamente, era splendida; una leggera brezza di Scirocco, issate le vele, tolti gli ormeggi, la barca s’inclina leggermente ed inizia la sua corsa sfiorando con precisione le altre imbarcazioni ormeggiate alla boa, allora non c’erano pontili.

Ennio era bravissimo e la sensazione provata era indescrivibile, faceva tutto da solo e non era semplice, con l’aggiunta delle volanti da dover cazzare e mollare ad ogni virata in contemporanea con il fiocco. Dopo pochi consigli mi affidò la barra del timone, sensibilissimo, e cosa strana, fu l’impressione di esserci andato altre volte, tutto mi sembrava normale, anche Ennio si meravigliò facendomi i complimenti.

Quel giorno facemmo un bel giro, prima a sud del porto e poi a nord; passando vicino a dei pattini, mi rimase impressa l’espressione di meraviglia che suscitava, e suscita tuttora l’enorme vela bianca con la stellina rossa e lo scafo appena percettibile. Il rientro in porto con il vento leggermente aumentato, a zig zag tra le altre barche, e poi fermarsi con l’abbrivo giusto davanti alla nostra boa, tutto perfetto, il mettere a posto, l’enorme randa, non fu cosa facile e non lo è tuttora.

Da quel giorno non sono più sceso; appena possibile, come da appuntamento, ci si trovava al circolo, il marinaio ci accompagnava a bordo e per l’ora di pranzo, e molte volte anche più tardi, ci veniva a riprendere, dopo che noi avevamo veleggiato per ore, cominciando anche a sfidarci, a chi arrivasse con più precisione alla boa. In poco tempo ero diventato il prodiere ufficiale; la stagione finì in un baleno come tutte le stagioni, troppo brevi. Per l’anno successivo Ennio, che con grossi sacrifici e pericolo riportava la barca a casa nel suo cortiletto, alla fine dell’inverno, ne iniziava la manutenzione, pulitura e riverniciatura quasi totale e spesso, o mi chiamava, o io andavo direttamente, iniziando ad imparare a carteggiare, stuccare e riverniciare. Dopo quattro anni, Ella, essendo tutta di legno iniziava ad avere qualche infiltrazione, sempre più frequente, tanto da far prendere ad Ennio la decisione di farla plastificare dal cantiere, Ruffini Ippoliti, agli inizi dell’attività, In questa occasione Ennio mi fece la proposta di entrare in società, acquistando la metà della barca e in più partecipando alle spese: non mi sembrò vero, tanto che accettai senza esitazione, siamo ancora soci; ottocentomilalire il prezzo concordato, la spesa del cantiere non la ricordo, solo che fece un gran bel lavoro, se la barca naviga ancora oggi.
Aveva un bellissimo albero e boma in legno,credo in pick paine, nel ‘ 74 mentre si tornava da Tortoreto con un leggero scirocco, Ennio mi chiese una birra, mi chino per prenderla e uno schianto tremendo, alzo la testa e l’albero in tre pezzi, la vela in acqua; una coppiglia aveva tranciato il perno tra la landa e l’arridatoio, procurarando quel po’ po’ di danno, ci riportò in porto un famoso personaggio, Don Berardo Cerulli con il suo Soling e con un motorino fuoribordo messo lateralmente.

Eravamo a metà stagione e per noi era finita, per trovare un albero della Star bisognava andare fino a Musso sul di Como dal cantiere LILLIA, ora molto noto, allora era agli inizi e quando andammo trovarli stavano progettando le nuove Star in vetroresina. Gentilissimi ed affabili, riuscirono a rimediarci un altro albero di legno più delicato del precedente, potemmo però tenerlo per soli due anni, poi purtroppo fece la stessa fine. Nel ’77 ci recammo a Mandello del Lario, dove trovammo l’importatore dei famosi alberi Americani, in un unico pezzo, 11,50 metri, ed anche in questo caso, grossi problemi per il trasporto, come gli altri, dovemmo aspettare che si facessero delle regate a Bari, mi sembra, affinché assieme ad altri alberi trasportassero anche il nostro. Gli anni, uno dopo l’altro sono volati, tanti amici sono venuti in barca imparando e con il tempo perfezionandosi, oggi sono dei bravi Skipper e proprietari di barche a vela. Dopo il brevetto da istruttore, oltre alla deriva 4,70 il perfezionamento lo faccio fare sulla Star e posso assicurare che quando salgono sulle altre barche si trovano a loro agio essendo molto più comode e semplici. In una giornata di freddo e vento riguardando delle vecchie foto, ne ho rivista una in particolare, un pattino, che mio fratello Dario e alcuni amici avevano trasformato in catamarano, non so se allora erano stati inventati.

Ho risentito le urla di nostra madre per le lenzuola nuove tagliate e trasformate in perfette vele, un timone rifatto ad opera d’arte, un palo trasformato ad albero poggiato sulla sua scassa e tenuto da quattro cavi di acciaio impiombati con fili di ferro; messo in acqua era velocissimo, non bisognava però far bagnare le vele che solo con gli schizzi diventavano pesantissime e il pattino cominciava dopo pochi bordi a rovesciarsi. Nonostante ciò qualche bordo si riusciva sempre a fare, era il 1948 e avevo otto anni . Dal ’50 al ’52 invece, durante la stagione estiva c’era un solo stabilimento, il Venere, che noleggiava i pattini; mentre i miei riposavano con la complicità del proprietario, prendevo un ombrellone e remavo al largo; con la termica che aumenta nelle ore pomeridiane, aprivo l’ombrellone e con un remo cercavo di timonare fino a riva. Bei tempi !! dicevano i nostri nonni, ora siamo noi a dirlo. Dimenticavo la cosa più importante; Ella due anni fa a compiuto il mezzo secolo naturalmente festeggiati con torta e candeline, sempre se risalendo al numero di matricola, non ci sia errore. Zio Paolo (nome datomi da quattro nipoti e sei pronipoti che vanno tutti a vela).

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LA BURRASCA

Premesso che non siamo a Capo Horn, nemmeno nell’Oceano Pacifico o nell’Oceano Atlantico e tantomeno in Norvegia al Fastnet ma soltanto nell’alto Adriatico.
Possiamo raccontarla, solo perchè non era giunta la nostra ora.
Era la fine d’ottobre, quando la scelta di una barchetta per mio nipote Piero, dopo aver girovagato per quasi tutti i marina d’Italia, cadde su un Mousse 99 ormeggiato nella marina di Grado. Dopo averla vista, partimmo in tre per andarla a prendere. La giornata era uggiosa, una pioggerella gelida ti penetrava nelle ossa. Nonostante ciò, mentre Piero ultimava i preliminari di compravendita, Nino ed io, prima assistemmo all’alaggio se c’erano lesioni, era perfetta,anche se si vedeva ben poco per le innumerevoli mani d’antivegetativa che vi erano state depositate, dopo di che, fatto rifornimento di carburante, ci dedicammo alla cambusa, ricomprando anche un barometro ed un orologio che il proprietario aveva tolto all’ultimo momento.

Cenammo in una pizzeria e poi a letto in barca. Alle sette pronti per andare a fare colazione, la giornata era splendida, la pioggia scomparsa ed un sole tiepido autunnale invogliava a partire al più presto possibile. Il vecchio marinaio del circolo, chiedendoci se eravamo intenzionati a prendere il largo, ci consigliò di non farlo, il tempo non era tornato ancora al bello ed una brutta perturbazione scendeva verso sud. Ripeto, la giornata era splendida, e considerando che la perturbazione scendeva noi saremmo scesi dietro di lei. Leggerezza? I sapientoni, mollano gli ormeggi e partono, con l’ultima considerazione, che in caso il tempo fosse cambiato, sarebbero approdati in un porto qualunque dell’Istria, dovendola costeggiare per diverso tempo. Fino alle tredici il tempo si mantenne stabile e bello una leggera brezza ci fece veleggiare addirittura senza l’ausilio del motore, Valentina iv così si chiamava la barca andava che era un piacere. Ma il nero che si vedeva all’orizzonte davanti a noi si avvicinava sempre di più, il vento iniziò a girare di prua e a rinforzare, mettemmo in moto il piccolo motore ed avvolgemmo il genoa; pensai: ci siamo. Indossate le cerate, la mia ( storia a parte) la diedi a Piero, avvolgemmo le scarpe con buste di plastica ed intanto il vento aumentava ed il mare sempre più formato, mettemmo una mano di terzaroli, durò pochissimo che dovemmo ammainarla ed avvolgerla completamente e per sicurezza legarla con degli stroppi. L’anemometro di Valentina, benché non fossi certo delle sua precisione, ma sembrava funzionasse molto bene, raggiunse i 55 nodi per poi oscillare tra i 35/40 nodi, il mare era diventato pauroso, onde ripide e spumeggianti inondavano la coperta, cercavo in tutti i modi di non far traversare la barca, affrontando di mascone ogni onda, una dopo l’altra, pensavo che se fosse venuta la pioggia, il vento sarebbe diminuito. Niente da fare, la pioggia arrivò ma il vento aumentava ancora, tanto che l’anemometro si stabilizzò tra i 55 nodi e il fondo scala, mi accorsi intanto che mio nipote aveva cambiato colorito, ci confermò che si era sentito veramente male, mentre Nino, seduto nel tambuccio cercava di capire dove eravamo. Ad un certo punto la situazione diventò tragica, dato che, non riuscivo più a tenere la prua ai marosi, mentre la piccola barchetta indietreggiava sotto i colpi violenti delle ondate ed il vento la faceva piegare fino alla falchetta; chiesi a Nino di poter aumentare un po’ i giri del motore, mi disse no. “ e la nostra unica salvezza, se si ferma siamo persi, non conviene, cerca di resistere”. Le ore passavano molto lentamente sempre nell’attesa di una schiarita, di un’attenuazione del vento, l’umidità ed il freddo facevano la loro parte e gli spruzzi tagliavano la faccia accecandomi completamente. Cominciò a fare buio quando l’anemometro tornò sotto i 35 nodi; non sapevamo nulla, ne dove potevamo trovarci o dove essere finiti, non avevamo nulla, solo la bussola che, con la barca che rollava e beccheggiava paurosamente, girava vorticosamente senza poterci dare un orientamento; di giri ne avevamo fatti di certo tanti anche noi, visto che la direzione del vento mi sembrò cambiare diverse volte.

Erano quasi le otto di sera, quando ci apparve una luce intermittente: all’inizio pensammo che fosse una barca di poppa che con le onde compariva e scompariva, decidemmo di seguirla e con il passare del tempo ci accorgemmo che era un fanale intermittente, poteva essere qualunque cosa: una meda, una secca, ed in ultimo invece scorgemmo che era terra ferma. Supponemmo di trovarci all’ingresso di Pola, ma non vedevamo nulla, solo quel fanale intermittente sotto una collina, il vento sceso a 18/20 nodi ci sembrava brezza, cercavamo disperatamente l’ingresso del porto ma non vi erano altri segnali, mi dirigevo, sempre al timone dall’una del giorno verso lo spazio libero tra terra ferma e il mare: nessuno di noi era stato mai a Pola, ci doveva essere un ingresso da qualche parte! Il rumore del mare contro la scogliera si faceva sempre più cupo, il tempo non passava mai; ad un tratto scorgemmo sulla nostra destra, fino a quel momento buio totale, un muraglione, urla di gioia di Nino, finalmente ecco l’jngresso, senza nessun segnale, subito dopo, le luci della città di Pola.
Il cuore ricominciò a battere normalmente, la stanchezza parve scomparire e quasi con orgoglio per aver tenuto testa alla tempesta passata, dissi a mio nipote: dimmi la verità, ai pensato di vendere subito la barca appena saremmo arrivati in qualsiasi porto? Ne ho conosciuti molti, che, alla prima buriana, sono scesi e non sono più risaliti in barca.
“Mi rispose: è stato il mio primo pensiero, l’ho trasformato in un mese di Messe se saremmo riusciti a sopravvivere”. Mentre si percorreva il lungo canale per la marina con il chiarore delle luci della città si notavano brandelli di vela penzolanti, poiché nonostante fosse stata legata a modo, il vento era riuscito a trovare un punto debole e strapparla, fortunatamente niente di grave, Nino, intanto guardando dentro, non si era accorto che i paioli galleggiavano con oltre venti centimetri d’acqua e i cuscini della tappezzeria erano tutti inzuppati, ci sono voluti quattro giorni di sole, tanta è stata la nostra permanenza in quella città, per poterli asciugare. Al marina gentilissimi, ci accompagnarono con la loro auto in un discreto albergo (problemi solo perché Nino non aveva i documenti, poi risolto), cercato di cenare, ma la stanchezza era troppa andammo subito a letto. Nel frattempo ci avevano detto che una tempesta così forte non si registrava da moltissimi anni: alberi divelti, tetti scoperchiati e fiumi in piena straripati in diversi punti, per tutta l’Istria. Nel portare i documenti per registrare l’ingresso, non vollero denaro, fummo ospitati come naufraghi. La città di Pola ci piacque moltissimo, con il suo Colosseo e l’arco di Trionfo costruiti dai Romani, le strade pulite ed i cittadini cordiali ed affabili; unico problema in quel periodo, era il1993 che le banche non davano più denaro, e quindi il cambio con la nostra lira era difficoltoso, ma non impossibile. Per il ritorno, navigammo quasi sempre a vela, con venticello da Nord Ovest mare piatto e Valentina che procedeva ad oltre sei nodi e mezzo.
Mio nipote non voleva, ma lo convinsi a controllare il motore, dopo averlo fatto sbarcare e revisionare sembrò tutto a posto, ma la frizione era ridotta un colabrodo, delle otto molle, ne restavano solo due, le altre erano tutte frantumate, ancora un poco si sarebbe bloccata.
Piccole riflessioni piene di se: se non avessi avuto la forza di resistere o per il freddo o per un malore, ce l’avremmo fatta ugualmente?
Se avessi dato retta ai tanti libri letti, e lasciato il timone e la barca in balia delle onde, rifugiandoci all’interno, ce l’avremmo fatta ugualmente?
Se invece di passare vicino al fanale, fossi passato più al centro, dove, lo seppi dopo, c’è un molo semisommerso, appena percettibile sulla carta nautica? Ce l’avremmo fatta ugualmente? Penso proprio di si! Non era giunta la nostra ora.